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la vittoria | 139 |
delle perdite, che dovevano essere enormi perchè non una granata nostra andava perduta. Si comprendeva che nuovi rincalzi e continui complementi gli giungevano a rimpiazzare i caduti e a rafforzare la resistenza. Il tiro delle nostre mitragliatrici falciava la vetta; ma ogni tanto, fra le grige scudature di acciaio, degli austriaci audacemente allungavano il collo e si sporgevano a osservare per regolare il lancio delle bombe e il fuoco della fucileria.
I nostri soldati, vedendoli, gridavano: «Guarda che teste! Meloni neri!» Le teste degli austriaci apparivano infatti stranamente voluminose, tonde e oscure. Più da vicino esse erano mostruose, senza faccia, enormi, orribili. I nemici avevano messo la loro maschera contro i gas asfissianti, che copre tutto il capo come il sinistro cappuccio della Misericordia che nascondeva il volto dei condannati a morte.
Ad un certo momento, l’impossibilità di trattenere l’assalto ha depresso i difensori. Essi si sono messi a sparare all’impazzata senza guardare più, senza osare nemmeno di sporgere le mani sui parapetti. Non si vedevano spuntare che le canne dei fucili, rivolte in alto. L’assalto era arrivato a qualche metro dai sacchi.
I nostri hanno sentito subito che era la fine, che avevano vinto. E il loro ardore è divenuto esultanza. Era la reazione violenta di tante lunghe, inenarrabili sofferenze. Era la felicità dopo