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una meteora tricolore su trieste 341

Un secondo dopo le vampe delle esplosioni hanno lanciato bagliori sulla riva. L’oscurità si è squarciata, e allora, nel balenìo sono apparsi confusamente i grandi edifici del porto: una visione di tetti, di corti, striscie bianche, un chiarore di muri e di pietre.

Poi l’ombra si è richiusa. Ma subito dopo è apparso un chiarore di fiamme. Un incendio cominciava a divampare, sempre più intenso, sempre più vasto. Sorgeva un turbinìo di fumo pieno di riflessi sanguigni.

L’aeroplano filava ora sulla città.

Non era a più di trecento metri dalle case. Subitamente, anche i lumi di Trieste si sono spenti. L’allarme si propagava. Non si distinguevano più le vie e le piazze. Quattro raggi di proiettori sono sprizzati come geysers di luce dalla parte alta della città, frugando il cielo con oscillazioni frenetiche. Cercavano lontano l’audace intruso, lo credevano a duemila metri. Ed era lì.

Un senso di esultanza inebbriava i nostri dopo il successo. Una orgogliosa volontà di sfida li esaltava. «Domani è San Giusto!» — ha urlato il pilota. — «E allora illuminiamo!» — «Vogliono vedere dove siamo? Eccoci!» — Sono scattati dei commutatori. L’aeroplano per alcuni secondi ha mandato dei riflessi.

Ha acceso tutte le sue lampade, anche quelle rosse e quelle verdi. Deve essere apparso sulla