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rata l’osservazione del suo segretario. — Tu fai tutto bene; farai bene anche questo.

— No, per carità; troppa roba, e ne ho abbastjanza del Bottegone; — disse Virginio. — Il Bottegone è un mondo, come voi dite qualche volta; ora il governo del mondo può bastare ad ogni ambizione, senza aggiungersi ancora i vostri stabili, i vostri mutui, le vostre ipoteche, i vostri contratti di affitto, le tasse, le riparazioni, le scorte, e via discorrendo. Che cosa vorreste voi fare, se anche questa parte di lavoro vi fosse sottratta? Vorreste dormire tutto il santo giorno su quel canapè? Occupatevi delle vostre sostanze, signor Demetrio, delle vostre case, dei vostri campi, e della vostra rendita; ciò basterà a tenervi desto, ed anche di buon umore.

— La rendita se ne andrà, pur troppo; — disse il signor Demetrio, sospirando; — ed io non avrò più da pensarci. Ma poichè la dote dev'essere assicurata sui possessi del conte Spilamberti, sarà bene leggere i documenti che ho portati con me. Tu non vuoi vederli...

— Perchè ciò non serve; perchè io non ci capisco nulla, e dove non può aver luogo un mio consiglio è inutile che si spenda la mia curiosità; o piuttosto diciamo la mia attenzione, poichè di curiosità non ho mai peccato nè sofferto.

— Benedetto ragazzo! con lui non si può vincere nè impattare; — borbottò il signor Demetrio. — Dovrò io andare dal cugino delle Cometti, per avere il suo riverito parere? —

Quello che il signor Demetrio accennava era un avvocato di Mercurano. Possidente modesto, l'avvocato Calestani non aveva avuto bisogno dì esercitare una professione per la quale non era forse tagliato. Qualche consulto dato a contadini litigiosi, qualche comparsa davanti al pretore, erano tutto il bagaglio col quale sarebbe andato alla immortalità, per prendere il suo posto nella sezione degli oratori e legisti, avvocati e giudici, procuratori, notai, cancellieri, uscieri; e chi più n’ha ne metta, che mi farà sempre piacere.