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del piroscafo, e cogli occhi aggrondati, che guardavano verso terra.

Genova, quantunque vicina, non si vedeva già più. I contorni della montagna erano spariti, confusi nel buio dell’atmosfera, e in cambio di quel mirabile anfiteatro di palazzi e di case variopinte che è così bello a vedere di giorno, si scorgeva un fantastico anfiteatro di bagliori, disposti a capricciosi scaglioni in un fondo d’azzurro cupo. Parevano stelle, fuochi fatui, sospesi a centinaia sulla superficie del mare.

Qualcheduno dei passeggieri radunati nella sala di prima classe, si dilettava a suonare il cembalo, e le gaie battute di un valzer giungevano fino agli orecchi di Guido. Ma quali pensieri danzavano nella sua mente, al suono di quella musica? Tristi pensieri; danza turbinosa.

Dov’era in quel momento Luisa? Egli non ne aveva più chiesto al Giacomo: ma certo ella era sulla via di Firenze. Non voleva pensare a lei, e ne discacciava sdegnosamente l’immagine; ma quella immagine, figlia del suo spirito infermo, gli tornava a balenare negli occhi, ed egli invano tentava di chiuderli, come il fanciullo allo spesseggiare dei lampi in una notte tempestosa, dappoichè la luce penetrava le palpebre e gli ripeteva quella sensazione molesta.

Fu una notte tormentosa, a gran pezza peggiore delle altre, come quella che gli recava i primi dolori della disperazione. Tutto era finito; gli ultimi stami erano re-