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Questi erano i pensieri di Laurenti. Dopo aver corso da capo a fondo il viale, dopo essersi fermato più volte a contemplare la palazzina Argellani che appariva opaca nel fondo, e cercato di ricreare una forma bianca sotto l’albero di pino, il cui ombrello si dipingeva foscamente riciso nel primo strato azzurro che lasciassero discoperto le digradanti colline, l’assiduo evocatore di amare ricordanze andò a fermarsi presso il noto sedile di pietra, accanto ai rami dell’olmo.

Ella non era per fermo venuta a salutare quel punto estremo della sua villa, innanzi di partire! Che cosa doveva importarle degli amplessi tenaci dell’edera, di quell’idillio di piante nel quale egli, ebbro d’amore, aveva raffigurato un idillio di cuori, il sogno della sua vita?

Diede un lungo sguardo di malinconia a quelle nozze verdeggianti, un lungo sospiro a quelle ricordanze amarissime; spiccò una fogliolina d’edera, in forma di cuore, poi un’altra, e le ripose ambedue tra le faccie del suo taccuino; quindi si lasciò andare sul sedile, spossato di membra e di anima, senza volontà, senza pensieri.

La natura, così a lungo dimenticata, voleva la parte sua. Guido cadde in un sonno profondo, tosto visitato da un sogno che io chiamerò sogno di prigioniero, imperocchè l’uomo privo di libertà, impedito da catene, sogna sempre l’aria aperta, i viaggi, l’uso infine di tutti quei diritti che gli sono menomati dal chiavistello e dalle sbarre del