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disdicevole questo mio venire a mezza spada con voi, che conosco a mala pena di veduta da un mese, e di parole da tre ore. Sono amico di Lorenzo Salvani; non già da anni, da mesi, ma le grandi necessità fanno le grandi amicizie. Lorenzo è sventurato; la sua indole nobilissima lo ha messo in guerra coi tristi; le sue opinioni politiche ugualmente; un segreto di famiglia che il caso aveva posto nelle sue mani, anche più. Egli è tre volte perseguitato, da quella bieca sètta che non perdona a generosità di carattere; che vede nel progresso umano la sua morte; che vuol vivere ad ogni costo, e s’abbarbica dovunque le venga fatto, nè rifugge dalle più nere trame, da più pravi disegni, pur di afferrare un comando che i tempi mutati, lo spirito di libertà che li informa, le hanno strappato di mano.

- Lo so; - disse il duca.

- Orbene, - proseguì il Giuliani, - se Lorenzo è tre volte perseguitato, è anche tre volte difeso; difeso da noi, giovani suoi pari, inesperti se si vuole, ma volenterosi, ma ardenti, e sorretti, se non da soverchio di forze nostre, dalla stessa bontà della causa.

- Lo so; - disse ancora il duca. - Non m’è ancora ben noto tutto quanto questi prodi amici hanno fatto per lui; ma quello che io ne ho in parte udito e in parte indovinato, me li fa grandemente stimare. L’amicizia, a parer mio, dovrebb’essere sconfinata come l’amore, e aver la medesima impresa: «O tutto, o nulla».

- Così la penso anch’io; - soggiunse il giovinotto. - Ma così pensando, non vi parrà strano che io venga da voi, e vi dica: signor duca di Feira, che fate quassù, solitario, incognito, per questi greppi? Buon padrone di rimanere dovunque vi piaccia, ma non già di farvi tanto intrinseco di un perseguitato, d’un fuggiasco, da ottenerne l’affetto e la fede. -

A quella sfuriata del Giuliani, il duca non rispose parola. Egli era rimasto sovra pensieri, col gomito puntellato sulla sponda di una tavola presso cui era seduto, e la palma della mano di rincontro agli occhi, in atto di profonda meditazione.

- Ecco, - proseguì il Giuliani, non udendo risposta; - la mia schietta domanda vi annoia.

- No, no, giovinotto! - disse allora il duca, scuotendosi. - Che cosa m’impedirebbe di sviare onestamente la vostra curiosità, e di fare intendere che la vostra dimanda è.... inopportuna? No, non mi annoia la vostra richiesta, nè mi mette in angustia. Io penso in quella vece, e con rammarico, che