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— L’Assereto? Mi par di conoscerlo.

— Certamente, lo conoscerete. Studiava filosofia con me, all’Università, quando voi eravate ai primi anni di medicina. Ma noi altri non ci siamo perduti di vista, sebbene egli abbia mutato strada. Ordunque, ai fatti. Aspettatemi due minuti, e sono ai vostri comandi. —

Come il lettore ha veduto, questo signor dottor Collini, che veniva a chieder servizi di tanto rilievo, non si faceva notare per costanza nelle sue amicizie. Inoltre, viveva in un ceto di persone, e andava a cercare assistenza fraterna in un altro, in quello, per l’appunto, che aveva abbandonato.

Il dottor Collini (lo diciamo ora, poichè ci viene in taglio) era un ambizioso di tre cotte, e della modesta sostanza che aveva ereditata dai suoi, si era giovato accortamente per frequentare i gran signori. Esercitava la medicina, nella quale era versatissimo e già famoso per qualche cura fortunata, sebbene ancor giovine: ma si diceva che quel giovine medico s’aiutasse più con la sottigliezza dei raggiri che con la bontà delle ricette. E taluno, anzi, più addentro in certi misteri della vita cittadina, lo accusava d’imprestar denaro ai figli di famiglia, ai troppo vivaci rampolli delle nobili casate con le quali era entrato in relazione, per farselo poi restituire raddoppiato dai frutti, o triplicato, o quadruplicato, col savio metodo delle rinnovazioni. Ahi, la calunnia! Ma egli in questi negozi non entrò mai per suo conto: parlava, faceva parlare da altri, e non domandava nemmeno di essere ringraziato della sua cortese intromissione. Al più, volendo malignare ad ogni costo, si sarebbe potuto dire che egli sapesse collocar bene il suo denaro, essendo uno dei socii occulti del banco Cardi Salati e C., del quale a suo tempo racconteremo vita e miracoli. Brutta cosa, non è vero? Ma questa non si sapeva, e quanto a certe chiacchiere di gente malevola, il Collini le poteva disprezzare. Dotto e virtuoso per molti, non aveva agli occhi loro altro difetto che l’ambizione, anzi la forma più tenue dell’ambizione, la vanità. E se ne rideva un pochino, senza perdergli stima. Si sa bene, chi non ha il suo difettuccio? La vanità è il piede di creta di tanti colossi! Ma bisognava anche dire che la vanità del Collini, non che un piede, fosse una gamba a dirittura.

Per avere un titolo di conte, il giovinotto avrebbe sacrificato Dio sa che cosa, e, stiamo per dire, battuto moneta falsa. Però invidiava al marchese di Montalto le sue pergamene, come gl’invidiava la bellezza (un po’ sciocca, la