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più bello, più fresco, più ridente, se fosse qui Galatea, lieta, fiduciosa, serena come una volta, prima di quella tal passeggiata che le sarà parsa una profanazione, ma in cui non ebbi colpa veruna! Ecco dei fiorellini nuovi, autunnali, che dovrebbero piacerle. Ma ci viene ella più, da queste parti? Vorrei domandarne a quei cardellini, che saltellano, svolazzano e si rincorrono sull’orlo di quella ripa: ma essi non intendono il mio linguaggio, ed io non intendo il loro. Quest’erba tenera, che forse ella ha calpestata, è muta, e conserva gelosamente il segreto. Ah, non tanto gelosamente!

Ecco qua, tra un ciuffo di sermolino e un cesto di terracrepolo, biancheggia qualche cosa. Un tesoro, niente di meno, un tesoro. A tutta prima l’ho creduto un temperino; ma no, è più minuscolo ancora d’un temperino. Vediamo; è un ninnolo, un amore di stecchettina d’avorio, di quelle che adoperano le signore per tagliar le carte dei libri, in viaggio, colla piccola presa a taglio vivo da un lato, per usarne come segno quando hanno smesso di leggere.