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Il Sangonetto chinò la testa, in atto di chi si rassegna, suo malgrado, ai voleri d’un amico. E col cuor più tranquillo, e per conseguenza col passo più spedito di prima, si fece innanzi alla comitiva.

In quelle chiacchiere, erano giunti presso all’Altino. Lo scalpitar dei cavalli avea fatto correre il ragazzo dell’osteria sull’uscio di strada.

— Padrone! ohè, padrone! — aveva egli gridato. — Presto, fatevi innanzi; son qua di ritorno i gentiluomini di questa mattina.

— Che diavol dici? — esclamò mastro Bernardo, uscendo sull’aia. — O che ci verrebbero a fare?

— Eh, che so io? — disse il Maso, impenitente nella sua celia. — Forse ad assaggiare quel vinello fiorito....

— Zitto là, mascalzone! Oh, magnifici messeri.... —

Come è facile argomentare da questo trapasso dell’oste, entravano allora Giacomo Pico e Tommaso Sangonetto a piedi, lasciando scorgere dietro di loro messer Pietro e il Picchiasodo a cavallo.

Mastro Bernardo, confuso e giubilante ad un tempo di quella nuova e non più sperata ventura, corse sollecito per tenere le redini a messer Pietro, che fu pronto ugualmente a balzar giù di sella.

— Che buon vento, messeri.... — andava dicendo frattanto l’ostiere; — e come va che io sono onorato....

— Mastro Bernardo, — gridò il Picchiasodo, troncandogli i suoi complimenti a mezzo, — non lo sai tu l’adagio: chi n’assaggia ci torna? A te, ragazzo; tieni i cavalli.

— Ve li metto al coperto? disse il Maso, pigliandoli per le briglie.