Pagina:Barrili - Castel Gavone.djvu/285


— 274 —

mo, svelse a dirittura una parte dell’inferriata dal suo stipite di pietra.

Intanto nelle mura del castello il frastuono cresceva. I soldati di guardia, udito il rumore degl’invadenti nemici, erano accorsi a difesa, e per le scale, pe’ corridoi, dovunque gli uni negli altri s’imbattevano, era una pugna cieca e feroce.

Antonio legò saldamente un capo delle lenzuola ad un tronco di sbarra, che era rimasto infitto nel davanzale, e senza far motto indicò la via di salvezza al padrone.

— Mio buon Antonio! — esclamò il marchese, con piglio amorevole.

— Andate, messere, andate!

— Raccomando alle tue cure la mia povera moglie! — soggiunse Galeotto, colle lagrime agli occhi.

E stretta al seno la fedele compagna della sua vita, a baciatala in fronte, si spiccò dalla camera, per raccomandarsi a quel fragile sostegno, che dovea porlo in salvo a’ piè delle mura.

— Corro al Borgo! — diss’egli, nell’atto di scavalcar la finestra.

— No, messere, non lo fate! — gridò Antonio Porro. — Chi vi assicura che il Borgo non sia già caduto in potere dei nemici? Prendete la via dei monti; correte a San Giacomo.

— Addio dunque, Bannina! — ripigliò Galeotto. — Ma no, a rivederci, tra breve, in Millesimo, se mi sarà dato di giungere fin là. A te il capitano dei genovesi concederà prontamente il riscatto, che non vorrà infellonire contro una donna. —

Ciò detto, si aggrappò alla fune e si commise nel vuoto.