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II. PREFAZIONI ALLE TRAGEDIE DI PIER CORNELIO 37

come la meschinella Olimpia in Ariosto, o una innamorata fanciulla che

. . . alla fonte tornata,
e vòlta al prato in vista lagrimosa,


dicesse di queste parolucce inzuccherate al luogo dove vide l’amante coricato:

Beati fior . . . erba beata,
che avete tócco così bella cosa;
terra che sotto a quel corpo se’ stata,
terra sopra ad ogi altra avventurosa,
perché voi non avete il senso mio?
o veramente il vostro non ho io?

se in questo stile scrivessero e di queste belle cose con la rima dicessero i nostri tragici personaggi, volete mò voi dire, don Remigio, che le sciocchezze d’Arlicchino durerebbono assai su i nostri teatri? che i comici fallirebbono recitando tragedie? che il volgo non saprebbe neppure il nome de’ valenti autori di esse? Io per me porto e porterò sempre opinione che no.

Tutto il mondo sa che Torquato Tasso ha fatto un bel poema, e tutto il mondo non sa ch’egli ha fatta una buona tragedia intitolata // Torrismondo. Sino le donnicciuole sanno le famose prove d’Orlando, ma i personaggi delle commedie dell’Ariosto sono molto poco conosciuti; né così anderebbe la bisogna, se il suo Torrismondo come il Goffredo, e le sue commedie come V Orlando, QNt.st.xo il Tasso e l’Ariosto rimato. Che più? quel maraviglioso poema delle Sette giornate del Tasso, chi lo conosce se non pochi dotti? Eh! finiamola, e diciamo che i versi toscani vogliono ad ogni modo la rima per piacere e ai dotti e agli ignoranti, e facciansi le tragedie e le commedie in rima; e i versi sciolti e gli sdruccioli stiensi nel santuario di Gravina e de’ suoi seguaci insieme coi giambi greci e latini; e allora le buone tragedie e le buone commedie avranno quelle piene al teatro che le arlicchinate e le pantalonaie si hanno, e che non avranno mai le Sofonisbe, le Canaci, gli Oresti ed altri somiglievoli capi d’opera.