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nell’opinione del grosso volgo, che, veduta in istampa una qualche loro caccabaldola, s’ha subito la bontá di onorarli con quel titolo. E rispetto poi allo stesso volgo, cosi noi fosse, come lo è, tutto sprofondato da un capo all’altro dell’Italia nella piú animalesca ignoranza, ogni di piú accresciutagli, se si potesse, da quelle tante scimunite predicacce che ascolta da’ pulpiti o da quelle tante melensaggini frammiste alle ribalderie che sente non di rado ne’ teatri, eternamente espresse in un linguaggio sciancato, scorretto, sciagurato e degno piú de’ cani e de’ porci che non degli uomini. Il mio soavissimo signor Niccolò, raccapricciandosi qui come chi sente un estivo scoppio di tuono troppo smisurato, mi risponde con una vocina molto mansueta che a tutto questo mio collerico dire e’ non ha sillaba che apporre. — Ma sei tu, — suggiung’egli riavendosi alquanto, — se’ tu poi del tutto giusto all’Italia tua, quando ti dimentichi di pianta, e come se non avesse la minima esistenza, di quel domestico parlare adoperato al di d’oggi in quasi tutta Toscana ed in Firenze principalmente? — Zitto, signor Niccolò, zitto, zitto, per amor del cielo, ché neanco da questo lato faremo bene i fatti nostri! A giudicare dai ricordi che ci rimangono tuttora, e congetturando pure analogicamente, con molto garbo si dovette favellare in Firenze a’ tempi che si governava in repubblica, perché la necessitá di ragionare dinanzi alla Signoria e d’aringare talvolta pure dinanzi al popolo aguzzava i cervelli a marciaforza, e gl’ invigoriva, e cavava dalle bocche di moltissimi individui un linguaggio netto, vivido, veloce, robusto e pieno colmo d’altre buone qualitá, che, diffuso quindi gradatamente per ogni ordine di persone alte e basse, veniva a rendere piacevole ogni parlatore nel suo parlare quotidiano. Estinta quindi la repubblica e caduto il paese nell’assoluto governo de’ signori Medici, la vaghezza di quel parlare tirò pur oltre a serbarsi per alcun tempo, cioè sintanto che i primi di que’ Medici durarono, i quali non erano, a dir vero, corpi senza petto; di modo che sen vennero incoraggiando, non solo colle ricompense, ma perfino