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LETTERA DICIANNOVESIMA

DEL CONTE DURANTE DURANTI AL PRINCIPE

don Tita Borghese [A nessuno dei poeti italiani fu dalla capricciosa natura donata una mente piú lucida e piú sgombra di nuvoli di quella che donò al Metastasio.] Ghiribizzando sui capricci della madre natura, anch’io, eccellentissimo signor don Tita, con molti filosofi antichi e moderni quasimente impazzo nello scorgerla tanto varia ne’ suoi fenomeni e tanto prodiga con uno e tanto scarsa con un altro de’ suoi donativi e delle sue beneficenze. Perché, dico anch’io con Vostra Eccellenza e con tant’altri, perché, verbigrazia, questo mio schiavo Macouf, che nacque in Tripoli di Barberia, e il conte Pietro Verri di Milano, e l’abate Chiari da Brescia, che anch’esso si chiama Pietro, perché s’ hann’eglino tutti e tre avuta dalla natura quelle lor teste cosi perfettamente sgangherate; e perché all’incontro questo nostro dottor Iacopo Taruffi di Bologna, e il prete Passeroni da Nizza, e il padre Beccaria del Mondovi, s’ebber eglino una testa bella e buona per ciascheduno? Ma io, insieme con mill’altri, ho bel farne di queste domande! Nessuno mi sa soddisfare con una schietta risposta, nessuno mi sa dare una ragione d’un fenomeno cosi strano e nulladimeno cosi comune; di modo che, ommettendo ogni vano indagamento e contentandomi di non aver mai a penetrare in quegli arcani della natura, ne’ quali, per ispeculare che si speculi, né io né Vostra Eccellenza né verun altro mortale penetrerá giammai, verrò semplicemente a dirle come a nessuno de’ nostri seguaci delle muse fu dalla capricciosa natura donata una mente piú lucida e piú sgombra di nuvoli, di quella che