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LETTERA SESTA

di Francesco Bicetti a suor Catterina sua sorella,
monaca in San Pietro di Treviglio

[Nessuno, nemmeno i frati, può vantarsi d’aver vinta e soggiogata la vanita; né questa è sempre vituperevole.] Per giudicare della controversia che si agita ora in cotesto tuo monistero, saria duopo essere piú informato ch’io non sono del punto sostanziale d’essa. Per satisfare nondimeno al desiderio delle tue suore e al tuo, te ne farò pure qualche parola e ti dirò cosi in su du’ piedi che basta un molto breve esame delle sorgenti, d’onde gli umani affetti e le passioni nostre dirivano, per tosto conoscere che molti vizierelli e un mondo di debolezze sono compatibilissime colle nostre maggiori virtú, vuoi semplicemente morali o vuoi cristiane; essendo noto perfino a’ bimbi che gli uomini sono tutti quanti, per cosi dire, un miscuglio di contrarietá. Non si vedono ogni di e dappertutto degli uomini liberali ed avari insieme? de’ coraggiosi, che tratto tratto s’hanno delle paure grandi? de’ benevoli, che tratto tratto s’hanno de’ sentimenti rigidi, anzi pure crudeli? Considerando questo strano ma comunissimo intralcio di buono e di cattivo nella natura nostra, piú d’un antico filosofo e piú d’un moderno hanno detto, con molta ragione, che il cuore umano è un indovinello. E senza abbandonare il punto che tu hai tócco nella tua lettera, qual è quel colui o quella colei che possa vantarsi d’aver vinta e soggiogata la vanitá? Cosa impossibile, Catterina mia! Neppure i piú santi ministri della parola di Dio potranno dire d’averla vinta e soggiogata, ché il solo dirlo li convincerebbe issofatto del loro averne troppa. E tu, che sei un’assidua ascoltatrice di prediche la quaresima, non hai tu sempre visto come le reverende Signorie de’ frati si santificano