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LETTERA CINQUANTESIMA

DEL CANONICO GAETANO GUTTIEREZ A CARLANTONIO TANZI

[Non s’ è scordato dell’amico.]

Buon principio d’anno, Tanzi; a patto però tu non m’accusi d’un peccato che non ho commesso, checché te ne paia. Io scordarmi di quel tuo naso col soprosso? di que’ tuoi occhioni che tanto fiammeggiano? Io non t’ho scordato in que’ tant’anni che passai di lá da’ monti, e t’avrò scordato ne’ due mesi che passai in Venezia? Oh, accusa falsa, ridicola, insussistentissima! Poss’io morire s’io me ne sbigotto; imperocché, oltre all’addurre la ragione dell’improbabilitá, posso etiam provare la tu’ accusa calunniosa con un paio di testimoni, i quali non avranno a far altro che mostrarsi perché quel tuo prefato naso col soprosso ti cresca immediate un palmo di piú! — E chi sono cotesti testimoni tanto irrefragabili? Deh, diccelo tosto! — A bel bello, Tanzi nostro! E’ sono due personaggi, i quali, vuoi per l’abito nero che portano indosso, vuoi per la loro barba corta, folta e canuta, o vuoi per lo grave ed assennato aspetto, meriteranno tutta la fede; e tu il vedrai, Carlantonio, com’e’ ti proveranno ch’io non t’ho scordato punto punto. Non v’ha uomo né donna in tutta Venezia, anzi pure in tutto lo Stato viniziano, che non li conosca, perché sono tutt’a due servizievoli a chiunque possono. E’ lo sono in particolare a’ viaggiatori che vanno intorno l’inverno, e sono amici anco di quelli che vogliono starsi studiando al tavolino queste lunghe sere, e s’industriano pure di giovare assai a’ poveri gottosi. Vuoi tu di piú, ch’e’ se ne vengono con meco a Milano coll’unica intenzione di farti quanto piú bene potranno? — Ma, puoffar il mondo, chi son eglino? E non mi dirai tu i loro nomi? —