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fracasso, perché troppo mal provveduti di panni nell’ora sventurata della fuga; e non è maraviglia se ancora prorompono in pianti, in gemiti, in singhiozzi e sino in urli fremebondi, quando sovvien loro il tormentoso intirizzimento delle lor membra, sendo stati costretti di starsi per piú giorni e per piú notti senza il minimo riparo contro l’imperversata ed insopportabilissima intemperie della ghiacciata stagione. E a tanti tantissimi nocumenti e mali aggiungi la perfetta carestia d’ogni vettovaglia, che li sforzò a mangiare non solo le crude carni de’ pollami e de’ mangiabili quadrupedi che si pararono loro dinanzi, ma perfino quelle de’ cani e de’ gatti e de’ sorci, e perfino l’erba, le radici e le foglie e le stesse cortecce degli alberi, per acquetare Tirata fame anzi che per prolungarsi la vita. Varie sono state le narrative che andarono allora pel mondo di questo infinito disastro; e i portoghesi, quando il tempo cominciò ad apportare qualche rimedio ai loro troppo acerbi e troppo intensi mali, calcolarono che di piú di novantamila persone venisse il lor popolo scemato in questa sola cittá. Ma se anco avessero, come i miseri sogliono, esagerato della metá, sarebbe nulladimeno sempre miserandissima cosa e da compiangersi in sempiterno. In un’altra, signor conte, vi dirò alquanto dello stato presente di questa metropoli, che cinque anni sono era per ampiezza di ricinto e per numero d’abitatori considerata la terza cittá dell’Europa. Intanto statevi sano e non vi si scordi l’errante amico sempre vostro affezionatissimo. Addio.