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con riverenza direi che l’avarizia e l’ingordigia dei sacerdoti sia quella che in gran parte abbia dato grandissimo fomento a queste diavolarie, e dará vie maggiore se la Chiesa non mette mano a la commenda dei chierici e anco di tutti i cristiani, perché ciascuno ha bisogno in suo grado di castigo. Ma non debbiamo noi altri, lasciato il vero e buon camino dei nostri maggiori, andar dietro a le favole di questi fantastici e chimerici uomini, anzi mostri, che vogliono sapere piú di quello che bisogna. E forse, se talora a chi erra si desse debita punizione, che si sanerebbero piú di duo infermi e la via si levarebbe a cotesti di mormorare degli ecclesiastici. E perciò vi vo’ dire ciò che operò Gioan Maria Vesconte, secondo duca di Milano, non perché si debbia imitare, ché in effetto fu uomo ferino e di costumi pessimi, ma perché si veda che talora una straordinario giudicio causa di buon effetti. – Narrò adunque il Dugnano ciò che in questa novelletta io ho descritto e sotto il dotto vostro nome publicato, a ciò che sia appo voi pegno del mio amore che vi porto, e al mondo resti testimonio de la nostra amicizia. State sano.

Novella XXV

Gian Maria Vesconte, secondo duca di Milano,
fa interrare un parrochiano vivo, che non voleva seppellire
un suo popolano se non era da la moglie di quello pagato.


Soleva mio avo, quando io era fanciullo, narrare molte di quelle crudeltá che Giovan Maria Vesconte, secondo di quella nobilissima schiatta fu duca di Milano, usava contra i suoi sudditi, perciò che per ogni picciola offensione faceva ed uomini e fanciulli smembrare e manicare a certi cani, che solamente per simil crudeltá nodriva. Ma io non vo’ ora venire a particolari effetti, ché sarebbe troppo lunga e crudele tragedia da narrare. Vi vo’ ben dire un fiero e agro castigo che egli diede ad un religioso prete. Dicovi adunque che, cavalcando esso duca per Milano, s’abbatté a passare per una via, ove in una picciola casetta sentí un gran lamento, con un pietoso lacrimare che quivi entro si faceva, con batter di mani ed alte strida, come talora soglion fare le donne mezze disperate. Udendo il duca cosí fatto ululare, comandò ad uno dei suoi staffieri che in casa entrasse e intendesse la cagione di cosí fiero pianto. Andò lo staffiero e non dopo molto a l’aspettante duca ritornò e sí gli disse: – Signore, qua dentro è una povera femina con alcuni figliuoli, che piange amarissimamente