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90 PARTE QUARTA e messer Alberto Cavriana andassemo al palazzo di San Bastiano a parlarli. Devete anco ricordarvi tutto quello che io nel detto luogo del giardino ne discorsi a madama, e del ga- stigo che meritava quello buffatone. Ora, poi che io mi tacqui, il nostro gentilissimo messer Benedetto Capi di Lupo e di essa madama segretario, a proposito di quanto si diceva, narrò una piacevole novella, che a tutti sommamente piacque e alquanto ridere ci fece. Onde madama, a me rivolta, mi disse: — Ban- dello, questa istoria è una di quelle che non ¡starà male tra cotante che tu a la giornata scrivi. — II perché io le promisi di scriverla. Ora, mettendo insieme esse mie novelle e venutami questa a le mani, ho voluto che sotto il vostro nome ella esca fore e resti testimonio appo tutti de l’amore che mi portate e de l'osservanza mia verso voi, che per tante vostre doti vi amo e onoro. Vi prego poi che essa novella facciate vedere a li magnifici vostri fratelli, che io come miei signori riverisco, il signor Francesco e signor Augustino. Che nostro signore Dio tutti lungamente vi conservi e vi doni quanto desiderate. State sano. NOVELLA II (III) Uno cortegiano va a confessarsi e dice che ha avuto volontà di ancidere uno uomo, ben che effetto nessuno non sia seguito. Il buono frate, che era ignorante, noi vuole assolvere, dicendo che « voluntas prò facto reputatur » e che bisogna avere l’autorità del vescovo di Ferrara. Su questo una beffa che al frate è fatta. Si come detto si è, degni di acerbissima punizione sono coloro li quali odeno le confessioni di questi e quelli e non sono atti a saper giudicare la gravezza e la differenza de li peccati, e non hanno cognizione de le scommuniche cosi episcopali come del sommo pontefice, e de la ragione canonica e de li casi che molto spesso accadeno. Però se talora vien loro alcuna beffa fatta, pare che ciascuno se ne allegri. Onde a proposito di questo mi piace narrarvi una alta beffa fatta da uno galante uomo a uno de questi ignoranti frati. Udite come avenne il caso. Suole essere communemente consuetudine che dopo la pasqua de la resurrezione li compagni dimandano l’uno a l’altro