di Milano e Venezia, quali li vedemmo
fino a’ nostri dí. Francesco signoreggiò poi tranquillo, glorioso,
splendido altri dodici anni; e negatagli l’investitura da Federigo
d’Austria, non se ne curò; offertagli per danari, la ricusò. — Costui era
disceso nel 1452, ed avea fatti gli Estensi duchi di Modena e Reggio, cosí
innalzando un altro de’ principati duraturi; e scansata Milano, erasi fatto
incoronar a Roma, non solamente imperatore, ma, contra l’uso, re d’Italia,
da papa Niccolò V troppo condiscendente; poi era risalito. Nel 1453,
Stefano Porcari, un gentiluomo romano, che poc’anni addietro,
nell’interregno della elezione di Niccolò, avea propugnati i diritti di
libertá del popolo romano, fece una congiura di fuorusciti, rientrò con
trecento una notte in una casa; fu tradito, accerchiato, preso,
appiccato. — In quest’anno medesimo si compiè la gran vergogna e calamitá
della cristianitá europea; fu presa Costantinopoli da Maometto II e i
turchi; e cosí finí l’imperio greco, orientale, romano, quella reliquia,
lungamente superstite, della civiltá antica. Quindi si sparsero i turchi
tra pochi anni nelle province greche dell’Eusino, del Danubio, di Atene,
della Morea e nelle isole; facendovi servi, «giaurri», i milioni
d’abitatori cristiani. Spaventossene la cristianitá, ma non se ne mosse;
non avea piú quel fior di zelo cristiano che avea mosse le crociate; non
ancora quello zelo di civiltá che la muove, benché tanto discordemente
epperciò lentamente, a’ nostri dí. E giá fin d’allora lo zelo commerciale
superava qualunque altro, faceva prendere i mezzi termini. Nell’anno della
conquista, Venezia fece col barbaro conquistatore un trattato di pace,
d’alleanza e buon vicinato, per salvare i suoi stabilimenti, i suoi scali,
e a capo di essi il bailo ambasciadore, consolo, giudice de’ cittadini
veneziani lá sofferti. Trovasi menzione d’una lega italiana ideata tra il
1454 e il 1455; ma furon parole: gl’interessi minori ma presenti fecero
lasciare i maggiori e lontani. Fu nuova vergogna e danno alla cristianitá;
danno poi particolare all’Italia, in cui saran sempre sogni le
confederazioni immaginate in generale, senza scopo, senza occasione; in cui
le occasioni sole posson condurre alle leghe temporarie, e queste sole, se
mai, a qualche