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con certi visi che piglian fuoco, sono in cucina tutti occupati a preparare il desinare.

E che desinare!

Una minestra di taglierini con l’uova che diceva mangiami mangiami, un bel pezzo di lesso guarnito con patate disfatte nel burro, due vassoiate di fritto composto di cervellini d’agnello e di fegato, un gran pasticcio pieno di maccheroni, e poi chicche, formaggio, frutta e un monte di gingilli.

Quel che però mi fece specie, fu di non veder l’arrosto. ― Meglio così, ― dissi fra me, ― qualcuno de’ miei compagni per questa volta l’ha scampata.

Mentre mi rallegravo in questo bel pensiero, ecco che Giampaolo dice a Geppino:

― Per oggi c’è tanta roba, l’arrosto si lascerà, ma domani non se ne può fare proprio a meno.

― Hai fatto bene a rammentarmelo, l’arrosto! E io che non ci pensavo più! Bisogna spicciarsi a tirargli il collo, al galletto della Lena, se no, aspettando dell’altro, non si potrebbe mangiare; sarebbe duro e tiglioso. Devo andar io?

― No, no, non ti confondere, scendo da me; in cinque minuti ho bell’e fatto; intanto tu tira fuori il vino; eccoti le chiavi di cantina. ―

Non ne volli sentir di più. Corsi tutto affannato nel podere, e appena scorto il povero animale, ― Fuggi, — gli dissi, ― fuggi, fratello, ti cercano per ammazzarti.

― Dove fuggire? ― rispose melanconicamente il galletto ― mi troverebbero dappertutto; bisogna morire; la tua mamma, pulcino mio, m’ha aperto gli occhi e mi ha fatto conoscere quanto sono stato cat-