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Risposta venuta dal Brasile, e risoluzione di tornare alla patria per terra.



A

niun mandato di procura fu mai fatto più onore che al mio. In meno di sette mesi ricevei dagli eredi de’ miei fidecommissari, e dei trafficanti, per conto de’ quali aveva impresa quella sgraziatissima spedizione, un grosso plico che racchiudeva i seguenti documenti e lettere:

I. Un conto corrente della rendita del mio podere o piantagione dall’anno in cui i defunti miei fidecommissari vennero ad un bilancio col capitano portoghese: fu un decorso di sei anni. Ne apparivano mille cento settantaquattro moidori a mio credito.

II. Il conto d’altri quattro anni, tempo che i predetti fidecommissari percepirono la mia porzione di rendite, prima che il governo ne reclamasse l’amministrazione come di proprietà spettante a persona, che si trovava morta civilmente, secondo il modo loro di dire. In questo secondo bilancio per l’accresciutosi valore del fondo, risultò a mio favore una somma di diciannove mila quattrocento quarantasei crusados, circa tremila dugento quaranta moidori.

III. Una lettera del priore del convento di Sant’Agostino che avea ricolte quelle rendite per quattordici anni circa; ma non v’essendo da far conto su la parte già disposta per l’ospitale, lo stesso priore dichiarò con la massima onestà rimanergli tuttavia di non distribuito ottocento settantadue moidori, che egli riconosceva dovuti a me. Nella parte del re non mi fu rifuso nulla.

IV. Una lettera per ultimo del mio socio, il quale si congratulava che fossi tuttora vivo, e mi spediva il ragguaglio dei miglioramenti del podere e della presente sua rendita annuale; ragguaglio in cui mi descrisse minutamente lo scompartimento di ciascuna pertica quadrata o biolca e de’ piantamenti fatti in ognuno e del numero