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Canto decimo 223


Mentre su di sè stessa alto rapita
     Scioglie Edea questi detti, e sembra face
     Che limpida si appunti all’infinita
     Volta del ciel che tenebrosa tace,
     S’avvicina la nave alla marcita
     Gleba ove il gregge accidioso giace,
     E dalle cristalline onde riflessa
     Maestosa alla spiaggia umile appressa.

Allora Edea trasfigurata, e come
     Fatta celestiale, eterea cosa,
     La man caccia ad Esperio in tra le chiome,
     Seco il rapisce, e su la tolda il posa.
     Mira, gli dice poi, l’anime indome
     Che disdegnan l’età lenta e dubbiosa,
     E per l’ampia dei Sogni equorea strada
     Traggon te pur da questa ignobil rada.

Splendido in sua modestia e tutto assorto
     Nel pensier delle mie floride rive,
     Mira colui che piange Italia or morto,
     Ma nel mio ciel, cor d’ogni core, ei vive:
     Saffi, che del sentier lubrico e torto
     Tenne l’anima sempre e l’orme schive;
     Saffi, che del Messia ligure, ardente
     Proseguì l’opra ed illustrò la mente.