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214 Atlandide


E tu che armando invan lo sguardo losco,
     L’aguzza testa serpentino avventi,
     Facondo faccendier, ben ti conosco,
     Che d’Aspromonte il marchio asconder tenti!
     Ben la volpina età, rabula fosco,
     Simulacri a te foggia e monumenti,
     Se al vulgo ignavo, onde tu sei l’emblema,
     Son astuzia e viltà gloria suprema!

Quell’uccellaccio dalle gambe a stecco,
     Allampanato, squallido, ritinto,
     È il terribile eroe di princisbecco,
     Che a Custoza restò scornato e vinto;
     Ben apre ancor, dopo tant’anni, il becco,
     E gracchia: Io fui nell’empia rete spinto;
     Non perfidia o viltà, ma fu cagione
     Della sconfitta mia l’esser coglione!

L’altro, che bieco in lui gitta lo sguardo,
     È il burbanzoso guerriglier di Spagna,
     Che di Gaeta e di Castelfidardo
     Il ducato pappossi e la cuccagna;
     Con moto di pavon solenne e tardo
     Misurando egli vien l’alta campagna,
     Mentre fan sotto a lui strilli di gioja
     Di Brescia il birro e di Fantina il boja.