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8 ARS ET LABOR

Murano, così intimamente legata alla vita della grande sorella, decadde. D'altra parte l'invasione della malaria nella laguna, il progressivo deprezzare dell'industria vetraria, costrinsero i muranesi ad emigrare. Così, lentamente, la città si svuotò: isola di murano: il canal grande. i palazzi furono lasciati deserti, preda degli assalti del tempo; le chiede, troppo numerose ormai, furono abbattute; là, ove sorgevano i magnifici orti muranesi, vivi di fontane zampillanti e ricchi di piante esotiche, grato riparo alle discussioni accademiche, ai tornei poetici, abitati già da artisti, da pittori insigni, da noldonne e nobiluomini, si fecero desolate e povere oraglie, ove ancor oggni una magra vegetazione di cavoli e di insalate spadroneggia. Dei palazzi Grimani, Giustiniani Morosini, Corner, Pisani, Moro, Manin ed altri ancora, di dieci e dieci chiese e scuole, tutte ricche di capilavori di altissimo valore, marmi, quadri, arazzi, oreficerie, nulla più rimane, quasi neppur la memoria.

Dopo la caduta della Repubblica Veneta, la prosperità di Murano decadde per modo che alla prima metà del secolo XIX l'isola poteva considerarsi come perduta per l'industria e per il commercio. La sua popolazione, ridotta a meno di diecimila anime, viveva nella quasi miseria — e delle sua già floridissime vetrerie non rimanevano che poche fabbriche di canna, che continuavano il commercio delle margarite, e pochissimi operai isolati che mantenevano la secolare tradizione, lavorando qualche oggetto che vendevano agli antiquari — i quali, a lor volta, li gabellavano agli stranieri per oggetti antichi.

Sembrava, giunta a questo estremo di decadimento, che Murano e la sua bella e lucrosa industria, non dovessero mai più risorgere. Per quella legge infallibile che lega la prosperità del lavoro alla stabilità politica, gli avvenimenti storici che turbarono Venezia, dalla caduta della Repubblica alla fine della dominazione austriaca, recarono la dispersione di ogni attività, il disamore ad ogni iniziativa; annichilirono le energie e le speranze di tanti nobili lavoratori muranesi che, di padre in figlio, per lunghe generazioni, costituenti una vera e propria aristocrazia intellettuale, operaia ed artistica, avevano tenuta vita e fiorente l'arte vetraria.

Nel 1866 l'avvocato Antonio Salviati, messe da banda le pandette e le conseguenti “braciole„ , si gettò corpo ed anima nella impresa di far risorgere le industrie muranesi. L'isola ancora aveva i discendenti di Beroviero, padre e figlio che nel XV secolo erano stati maestri insigni in foggiare nelle forme più artistiche ed eleganti il vetro soffiato; dei Miotti, dei Ballarin, dei Briati, tutti artefici gloriosi, inventori e perfezionatori dei musaici, delle avventurine, delle filigrane, fioriti tutti dal secolo XIII al secolo XVIII — i quali discendenti conservavano pienamente le tradizioni artistiche dei padri. I capitali necessari furono dal Salviati trovati in Inghilterra e Sir Austin Henry Layard, diplomatico, letterato, artista, archeologo, che amò Venezia come una seconda patria, donò tutta la sua autorità ed il suo appoggio al nuovo rifiorire, che prometteva il ritorno di un'era di attività e di benessere alla bella isola.

Ed infatti, col radunar dei denari, per incanto si rialzarono gli animi muranesi, i quali, se nelle tante peripezie avevano perduta la fiducia nei tempi, mai e poi mai avevano smarrita la fede nella bellezza, nella originalità, nella grazia della loro bella, originale, graziosissima arte.

Ora, Murano è risorta e, quel che più conta, progredisce di continuo.

isola di murano: rio de' vetrai.Scendendo dal vaporino, che unisce in un rapido e continuo scambio, Venezia a Murano, il visitatore comprende subito di trovarsi in un ambiente, ove il lavoro è legge e premio insieme.


Le fabbriche si seguono: Franchetti, fratelli Toso, Pauly e C.ia, Salviati-Jesurum, Venezia-Murano, Costantini-Valmarano, Società veneziana, ecc. E da tutto questo fervore di attività, ogni giorno quantità grande di prodotti — dagli umili a ricchissimi: dalle