Pagina:Ariosto - Satire, 1809.djvu/24

18 SATIRA

Or perchè so, com’io mi muti e volga
     Di voler tosto, schivo di legarmi,
     Donde se poi mi pento, io non mi sciolga.
Qui la cagion potresti dimandarmi,
     Perchè mi levo in collo sì gran peso,
     Per dover poi su ’n altro scaricarmi.
Perchè tu, e gli altri frati miei ripreso
     M’avreste, e odiato forse, se offerendo
     Tal don fortuna, io non l’avessi preso.
Sai ben, che ’l vecchio la riserva avendo
     Inteso d’un costì, che la sua morte
     Bramava, e di velen perciò temendo;
Mi pregò, che a pigliar venissi in corte
     La sua rinunzia, che potría sol torre
     Quella speranza, onde temea sì forte.
Opra fec’io, che si volesse porre
     Ne le tue mani, o ad Alessandro, il cui
     Ingegno da la chierca non aborre.
Ma nè di voi, nè di più giunti a lui,
     D’amicizia fidar unqua ei si volle;
     Io fuor di tutti scelto unico fui.
Questa opiníon mia so ben, che folle
     Diranno molti, che salir non tenti,
     La via, ch’uom spesso a grandi onori estolle.
Questa povere, sciocche, inutil genti,
     Sordide, infami, ha già levato tanto;
     Che fatte le ha adorar da i Re potenti.