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10 SATIRA

Il qual se vuol di calamo, e d’inchiostro
     Di me servirsi, e non mi tor da bomba,
     Digli: Signore, il mio fratello è vostro.
Io stando qui farò con chiara tromba
     Il suo nome sonar forse tant’alto,
     Che tanto mai non si levò colomba.
A Filo, a Cento, in Ariano, e a Calto
     Arriverei, ma non sino al Danubio,
     Ch’io non ho piè gagliardi a sì gran salto.
Ma se a volger di nuovo avessi al subio
     I quindici anni, che in servirlo ho spesi,
     Passar la Tana ancor non stare’ in dubio.
Se avermi dato, onde ogni quattro mesi
     Ho venticinque scudi, nè sì fermi,
     Che molte volte non mi sian contesi,
Mi debbe incatenar, schiavo tenermi,
     Obligarmi ch’io sudi, e tremi senza
     Rispetto alcun, ch’io muoia, o ch’io m’infermi;
Non gli lasciate aver questa credenza:
     Ditegli, che più tosto, ch’esser servo,
     Torrò la povertade in pazienza.
Un asino fu già, ch’ogni osso e nervo
     Mostrava di magrezza, e entrò pel rotto
     Del muro, ove di grano era uno acervo.
E tanto ne mangiò, che l’epa sotto
     Si fece più d’una gran botte grossa,
     Fin che fu sazio, e non però di botto.