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Parlando tutta volta la donzella
Teneua la viſiera alta dal viſo,
Mirando Ferrau la faccia bella
Si ſente rimaner mezo conquiſo,
E taciturno dentro a ſé fauella
Queſto vn’angel mi par del paradiſo,
E anchor che con la lancia non mi tocchi
Abbattuto ſon giā da ſuoi begliocchi.
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Preſò del capo, e come aglialtri auuene:
Ferrau ſé n’uſci di fella netto,
Bradamante il deſtrier ſuo gli ritenne:
E diſſe torna, e ſerua quel e’ hai detto,
Ferrau vergognoſo ſé ne venne
E ritrouo Ruggier ch’era al conſpetto
De’l Re Agramante, e gli fece ſapere
Ch’alia battaglia il cauallier lo chere.
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Ruggier nò conoſcedo anchor chi foſſe
Chi a sfidar lo mandaua alla battaglia,
Quaſi certo di vincere, allegroſſe:
E le piaſtre arrecar fece e la maglia,
Ne l’hauer viſto alle graui percoſſe
Che glialtri ſian caduti il cor gli ſmaglia,
Come s’armaffe, e come vſciſſe, e quanto
Poi ne ſegui, lo ſerbo all’altro canto.
CANTO XXXVI
[1]
Sia vn cor getil, ch’eſſer nò può altrimente,
Che per natura, e per habito pſe
Quel ch di mutar poi non e poſſente,
Conuien ch’ouunque ſia: ſempre paleſe
Vn cor villan ſi moſtri ſimilmente,
Natura inchina al male, e viene a farſi
l’habito poi difficile a mutarli.
[2]
Di corteſia, di gentilezza eſempii
Fra gli antiqui guerrier ſi vider molti,
E pochi ſra i moderni, ma de gli empii
Coſtui, auuié ch’assai ne vegga e aſcolti,
In quella guerra Hippolyto che i tempii
Di ſegni ornaſte a gli nimici tolti:
E che traheſte lor galee captiue
Di preda carche, alle paterne riue.
[3]
Tutti gli atti crudeli & inhumani
Ch’ufaffe mai, Tartaro, o Turco, o Moro
Non giā con volontā de Venetiani
Che ſempre eſempio di giuſtitia ſoro:
Vſaron l’empie e federate mani
Di rei ſoldati mercenarii loro:
Io non dico hor di tanti acceſi ſuochi
Ch’arfon le ville e i noſtri ameni lochi.