Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/224


[12]
No ſaſſo, merlo, traue, arco, o baleſtra
     Ne ciò che fopra il Saracin percuote
     Ponno allentar la ſanguinoſa deſtra
     Che la gra porta taglia ſpezza e ſcuote
     E dentro fatto v’ ha tanta fineſtra
     Che ben vedere e veduto eſſer puote
     Da i viſi impreſſi di color di morte
     Che tutta piena quiui hanno la corte,

[13]
Suonar per glialti e ſpatiofi tetti
     S’ odono gridi e feminil lamenti
     l’afflitte donne percotendo i petti
     Corron per caſa pallide e dolenti,
     E abbraccian gliuſci e i geniali letti
     Che toſto hano a laſciare a ſtrane géti,
     Tratta la coſa era in periglio tanto
     Quado’l Re giuſe, e ſuoi baroi accato.

[14]
Carlo ſi volſe a quelle man robuſte
     C’hebbe altre volte a gra biſogni pròte,
     Non ſete quelli voi che meco fuſte
     Contra Agolante (diſſe) in AſpramOte?
     Sono le ſorze voſtre hora ſi fruſte
     Che s’uccideſte lui, Troiano, e Almonte
     Con cento mila, hor ne temete vn ſolo
     Pur di ql ſangue e pur di qllo ſtuolo.

[15]
Perche debbo vedere in voi ſortezza
     Hora minor ch’io la vedeſſi allhora?
     Moſtrate a queſto Can voſtra prodezza
     A queſto Can che glihuomini deuora,
     Vn magnanimo cor morte non prezza
     Preſta o tarda che ſia, pur che bé muora
     Ma dubitar non poſſo oue voi ſete
     Che fatto ſempre vincitor m’hauete.

[16]
Al ſin de le parole vrta il deſtriero
     Con l’haſta baſſa al Saracino adoſſo:
     Moſſeſi a vn tratto il Paladino Vgiero
     A un tempo Namo & Vliuier ſi e moſſo
     Auino, Auolio, Othone, e Berlingiero
     Ch’ un ſenza l’altro mai veder no poſſo:
     E ferir tutti fopra a Rodomonte
     E nel petto, e ne i ſianchi, e ne la ſronte.

[17]
Ma laſciamo per Dio Signore hormai
     Di parlar d’ira, e di cantar di morte,
     E ſia per queſta volta detto assai
     Del Saracin non men crudel che ſorte,
     Che tempo e ritornar dou’ io laſciai
     Griphon, giúto a Damaſco in ſu le porte
     Con Horrigille perfida, e con quello
     Ch’ adultererá, e non di lei fratello,

[18]
De le piú ricche terre di Leuante
     De le piú populoſe, e meglio ornate
     Si dice eſſer Damaſco, che diſtante
     Siede a Hieruſalem fette giornate,
     In vn piano ſruttiſero e abondante
     Nò men giocondo il verno che l’eſtate,
     A queſta terra il primo raggio tolle
     De la naſcente Aurora vn vicin colle.

[19]
Per la citta duo ſiumi chriſtallini
     Vanno inaſſiando per diuerſi riui
     Vn numero inſinito di giardini,
     No mai di fior no mai di ſronde priui,
     Diceſi anchor, che macinar molini
     Potrian far l’acque lanſe che ſon quiui,
     E chi va per le vie vi ſente, ſuore
     Di tutte quelle caſe, vſcire odore.