Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/222


[86]
Allui véne vn ſcudier pallido in volto
     Che potea a pena trar del petto il ſiato,
     Ahimè Signor ahimè, replica molto,
     Prima e’ habbia a dir altro incominciato,
     Hoggi il Romao iperio hoggi e ſepolto,
     Hoggi ha il ſuo popul Xpo abandonato
     11 Demonio dal cielo e piouuto hoggi,
     Perche in queſta Citta piū nò s’alloggi.

[87]
Satanaſſo (perdi’ altri eſſer non puote)
     Strugge e ruina la citta inſelice,
     Volgiti e mira le ſumoſe ruote,
     De la rouente ſiamma predatrice,
     Aſcolta il pianto che nel ciel percuote
     E faccian fede a quel che’l ſeruo dice:
     Vn ſolo e ql, ch’a ferro e a fuoco ſtrugge
     La bella terra, e inanzi ognun gli ſugge.

[88]
Quale e colui che prima oda il tumulto
     E de le ſacre ſquille il batter ſpeffo
     Ch vegga il fuoco, aneſſun’altro occulto
     Ch’a ſé, ch piū gli tocca e gli e piū pſſo:
     Tal’e il Re Carlo, udèdo il nuouo Iſulto
     E conoſcendol poi con l’occhio iſteffo:
     Onde lo sforzo di ſua miglior gente,
     Al grido drizza e al gra rumor ch ſente

[89]
De i Paladini e de i guerrier piū degni
     Carlo ſi chiama dietro vna gran parte,
     E ver la piazza fa drizzare i ſegni
     Che’l Pagan s’era tratto in quella parte
     Ode il rumor vede gli horribil ſegni
     Di crudeltā, l’humane membra ſparte:
     Hora non piū, ritorni vn’altra volta
     Chi voluntier la bella hiſtoria aſcolta.


CANTO DECIMOSETTIMO



[1]

I
L giuſto Dio qn i peccati noſtri

     Hano di remiſſion paſſato il ſegno
     Accio ch le giuſtitia ſua dimoſtri
     Vguale alla pietā, ſpeffo da regno
     A Tyranni atrociſſimi & a Moſtri
     E da lor ſorza, e di mal fare ingegno:
     Per qſto Mario e Svila poſe al mondo
     E duo Neroni, e Caio ſuribondo.

[2]
Domitiano, e l’ultimo Antonino.
     E tolſe da la immonda e baſſa plebe
     Et eſalto all’Imperio Maſſimino:
     E naſcere prima ſé Creonte a Thebe:
     E die Mezentio al populo Agilino
     Che ſé di ſangue humā graſſe le glebe:
     E diede Italia a tempi men remoti
     In pda agli Huni a i Lògobardi a i Gothi.

[3]
Che d’Atila diro? che de l’iniquo
     Ezzellin da Roman? che d’altri cento?
     Ch dopo vn lūgo andar ſemp in obliquo
     Ne mada Dio per pena e per tormento:
     Di qſto habbian no pur al tòpo antiquo
     Ma anchora al noſtro chiaro eſperiméto
     Quando a noi greggi inutili e mal nati
     Ha dato per guardian Lupi arrabbiati.