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prefazione ix

edizione del 1516, quella eccettuata del ’21, egli più volte amaramente aveva dovuto dolersi. E ormai, sebbene la salute fosse malferma, e, già precocemente invecchiato, appiattasse il capo calvo sotto il cuffiotto1, fu suo saldo proposito correggere accuratamente il testo del poema, migliorarlo nell’ordine degli episodi e con aggiunte opportune, e soprattutto riformarne la locuzione. Per tal modo l’Orlando fu ampliato di sei nuovi canti, e l’episodio d’Olimpia, il presagio d’Andronica ad Astolfo sulle terre scoperte da spagnoli e portoghesi, l’arrivo di Bradamante al castello di Tristano, la storia di Drusilla e Marganorre e la gara fra Ruggero e Leone furono i tratti di viva poesia con cui l’Ariosto condusse a termine la sua meravigliosa epopea.

L’attesa che il poema si compisse fu quanto mai ansiosa per parte di gentiluomini, di nobili dame, di poeti, d’artisti e d’eruditi, tanto che Ludovico nell’esordio dell’ultimo canto potè immaginare, conforme a verità, che tutti si congratulassero di vederlo tornare in porto dopo sí lunga fantastica navigazione:

          Par che tutti s’allegrino ch’io sia
          Venuto a fin di cosí lunga via.

E delle lodi, che gli si tributavano con affetto, diceva non poter mai sdebitarsi:

          . . . . . . . . . . .non facil parmi
          Ch’io possa mai di tanto obbligo trarmi2.

Ma se uomini insigni e amici sinceri non tacquero la loro ammirazione, al poeta non mancarono critiche anche acerbe, da mediocri cortigiani che, con invidiosa malizia, non intendendo la grandezza artistica delle stanze con che si descrive la città e il palazzo d’Alcina e il paradiso terrestre o si narra della flotta prodigiosa d’Astolfo, avevano apposto come colpa il vero storico al verisimile poetico; e alla

  1. Satire di L. Ariosto, Sat. II, 218-219.
  2. Orlando Furioso di L. Ariosto, XLVI,