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atto terzo. — sc. vi. 319

Corbolo.                                                  Giulio
Jeri stette alla posta.
Ilario.                                 Da lui vogliolo,
E non da te, saper.
Corbolo.                                 Ti darà a intendere
Qualche baja, chè sa troppo ben fingere.
Cremon.Fingi pur tu.
Corbolo.                       Or, guatami, e non ridere.
Cremon.Che rider? che guatar?
Corbolo.                                          Va va, di’ a Giulio,
Che Flavio sarà un dì buono per renderli
Merto di questo.
Ilario.                           Non andar, no. Lievati
Pur tu di qui, ch’io vô da lui informarmene;
E non da te.
Corbolo.                       Non fia vero ch’io tolleri
Mai che costui vi dileggi.
Ilario.                                          Che temi tu
Che le parole sue però m’incantino?
Ma dammi queste robbe. Va via, levati
Tu di qui.
Corbolo.                    Pur volete dargli udienza?
Quanti torcoli son per la vendemmia
Non gli potrebbon1 far un vero esprimere.
Cremon.Dirò la verità.
Corbolo.                         Così è possibile,
Come che dica il pater nostro un asino.
Ilario.Lascialo dire.
Cremon.                       Io vi dirò il vangelio.
Corbolo.Scopriamci il capo, perchè non è lecito
Udire a capo coperto il vangelio.
Ilario.Per ogni via tu cerchi d’interrompere:
Ma se tu parli più!... Deh vien: lasciamolo
Di fuora: entra là in casa. Mi delibero
Di saper questa giuntería, ch’altro essere
Non può. Ma serriam fuor questa seccaggine.



  1. Ant. stamp.: potrebbe.