Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. I, 1928 – BEIC 1737380.djvu/38

32 canto


40
     Ma, come quel che men curato avrei
vedermi trar di mezzo il petto il core,
lasciai lor via seguir quegli altri miei,
senza mia guida e senza alcun rettore:
per li scoscesi poggi e manco rei
presi la via che mi mostrava Amore,
e dove mi parea che quel rapace
portassi il mio conforto e la mia pace.

41
     Sei giorni me n’andai matina e sera
per balze e per pendici orride e strane,
dove non via, dove sentier non era,
dove né segno di vestigie umane;
poi giunse in una valle inculta e fiera,
di ripe cinta e spaventose tane,
che nel mezzo s’un sasso avea un castello
forte e ben posto, a maraviglia bello.

42
     Da lungi par che come fiamma lustri,
né sia di terra cotta, né di marmi.
Come piú m’avicino ai muri illustri,
l’opra piú bella e piú mirabil parmi.
E seppi poi, come i demoni industri,
da suffumigi tratti e sacri carmi,
tutto d’acciaio avean cinto il bel loco,
temprato all’onda et allo stigio foco.

43
     Di sí forbito acciar luce ogni torre,
che non vi può né ruggine né macchia.
Tutto il paese giorno e notte scorre,
e poi lá dentro il rio ladron s’immacchia.
Cosa non ha ripar che voglia tôrre:
sol dietro invan se li bestemia e gracchia.
Quivi la donna, anzi il mio cor mi tiene,
che di mai ricovrar lascio ogni spene.