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NOVELLA IX

Malatesta di Carbonesi una nocte ne mena per donna a casa sua Lelia sua amante, e poi per onta è uciso De che Lelia per doglia se impica per la gola, donde ne sucede gran male.

Amantissimo conte, mio caro e unico signore, e voi nobilissima compagnia, le Vostre Magnificenzie debbono sapere che de poco inanti ch*el nostro valoroso popiilo apresso el ponte de Sancto Ambrosio fusse victorioso di Encio re di Sardegna, figliolo de Federico secondo, impcrator romano, le cui ossa ancora nella chiesa de’ nostri frati predicatori cuin iusto epitafio se riposano, fu uno giovene nostro citadino, nominato Malatesta, figliuolo de Alberto di Carbonesi, famiglia antiqua e nobilissima de la nostra citade, de cui ne resta oggidí Alberto, nostro discreto citadino. El quale giovene, fin negli anni de la sua prima adolesccnzia, se fece sugetto amorosamente de una bellissima giovene. figliuola de misser Paulo di Galuci, cavaliero splendido e de animo grande, nominata Lelia; e lei, similmente amando lui sopra tutte le cose del mondo, se al padre suo, el quale per niente consentire voleva, fosse piaciuto, volentiera piú che altro l’avcrebbe tolto per marito. Il che intendendo Malatesta, singularmente li piaceva, cum speranza alfin possedere matrimonialmente le desiderate bellezze de l’amata Lelia. Di che advenne che, per porre egli fine ali suoi amorosi martiri, per aiuto de una fidele fantesca de la giovene, nominata Lisetta, se condusse una nocte ad una finestra de le camere terrene de la casa di misser Paulo, poste sopra cl zardino, a parlare cum lei. Dove giunto, avendo ogni spirto de leticia occupato, a gran pena puoié dire: — Lelia mia cara, Idio adempia li nostri longhi disii, — toccandoli cum grande ardore la dextra mano. A cui epsa, quasi per alcgrezza e vergogna potè rispondere: — Cussi sia, unico signor mio. — E stato cossi alquanto, Malatesta, che se consumava nelle bellezze della bella giovene, in