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siano vari li effecti de la fortuna. Io non dubito che, essendo vero quello me dici, questo tuo Gabriele debba essere stato oppresso da sinistri colpi de lei, avendone visto a’ mei giorni quasi infinita multitudine. Se ben recordo, credo avere udito nominare quello conte Gerbo e li altri conti che me hai nominati; ma dove e in che luoco, non ho al presente memoria. Ma fa’ quello te dirò: onora costui quanto piú t’è possibile, e, seco parlando spesse volte de qualche tua iactura e affliczione, guarda bene cum ogni arte e ingegno se puoi fare che elio esca fuori in qualche parola de la sua fortuna, che facil cosa ce sará poi cognoscere; e, noi potendo movere cum questa via, narrarli cum merore la misera sorte del re Priamo de Troia, la clade extrema de Pompeio magno, l’ingrata morte de Pozione ateniese, e altri strazi che ha facto spesse volte la instabile fortuna d’altri omini prestantissimi, di quali fa rumore la greca e nostra istoria; ch’io non dubito, facendo ciò piú volte e cognoscendo lui essere da te amato e ben tractato, te fará alfín palese la radice del suo affanno. E, pur quando noi facesse per tal casone, ne trovaremo de le altre piú urgente, cum le quale non dubito che intenderai quello che desideri sapere. — Ringraziato io ser Cola del prudente suo consiglio e tolto da lui licenzia, posi ogni mio pensiero per mandare tutto quello ad effecto. E cosi, tra pochi giorni, trovata l’occasione e ’l tempo, sospirando gravemente verso Gabriele, incominciai a dolermi de la repentina morte de mio padre, stato celebre doctore a’ suoi tempi ne la citá nostra, compendo io allora de la mia etá anni quatro; poi de quella de mia madre, da inde a cinque anni, per l’acerba morte del marito, morta; commemorando ancora molte mie adverse fortune cum’ gran cordoglio, pur per vedere se in qualche sua disaventura incappasse. Mai, se non con sospiri profondi, me respondeva. Me disposi adunque legerli la vita de Gneo Pompeio, scripta da Plutarco, greco istorico excellente. Dove, giunto a la morte sua misera e deploranda e quella cum flebili affecti pronunciando, lassando Gabriele uno altissimo sospiro e poi piangelfclo, dixe: — O ingrata, o crudele, o adversa fortuna, io a rasone de te dolere