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piú di me. Che potria mai fare lo stupendo arteficio del divin Buonaruoti nel dipignere in poco spazio un concistoro apostolico, non gli essendo lecito di vestire lo assiso pontefice né i sedenti cardinali d’altro che di rosso e di pavonazzo? Ecco: lo scriver mio sempre, ne l’ire, ne le minacce, ne le prigioni, negli spaventi, nei supplizi e ne le morti, si sostien quasi tutto in sul dosso de la invenzione; peroché, oltre che ogni cosa che risulta in gloria di Dio è ammissa, l’opera, che in se stessa è poca, sarebbe nulla senza lo aiuto che io le ho dato meditando. Or, come si sia, io vi mando il volume, al nome vostro dedicato e a vostro nome composto; e, nel mandarvelo, me ne rallegro ne la maniera che me ne dolgo per non potere anco mandarlo a colui, che, per esser suta santa Caterina avvocata sua come è di voi, me lo dimandò con istanzia fervidamente religiosa. Io parlo di quel buon duca di Mantova, la reai condizion del quale saria stata di piú felice vita e di piú beata memoria che veruna altra mai, se il generoso de la bontá di lui avesse meri creduto al maligno de la fraude altrui. Egli, che fu di placida affabilitá, di pronta cortesia, di dolce aspetto e di mansueta natura, non era per guardar punto de le cose postegli inanzi da la inumana malvagitá di chi gli amministrava la buona fidanza, se l’ozio del suo mezzo e la pigrizia del suo fine non si inimicava con l’armi e con la fama del suo glorioso principio. Ma, perché è meglio il vedere la sposa di Giesú in cielo che il legger la sua vita in terra, essendo si fatto principe lassuso, nel darmene pace, mi inchino al soprano valore de l’altissima Vostra Eccellenza.

Di Vinezia, il 26 di novembre 1540.