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circa l’onorarmi, fa l’uffizio che si appartiene a loro. Voi predicate il costume de la natura, che mi move, mosse e moverá sempre a non mai lasciarmi vesta indosso, nonché danari in borsa, né cosa in casa, che non sia di chi ne ha voglia. Né tacete la facilitá de la conversazion mia, né lo esser io cristiano, limosinieri, senza odio e senza invidia. D’ il che, oltra il ringraziare Iddio, che per tale comincia a farmi conoscere, vi sono molto obligato. Né puote un cavaliere ottimo, nobile e da bene usare altri termini inverso il prossimo. Ma, riuscendo col parlare a quella mala lingua, per cui vi ataccasti con quegli ignoranti viziosi, risolvetevi pure che chi vòle acquistarsi nome del piú tristo uom che viva, dica il vero. Legghino cotali genti le mie vigilie religiose, e poi mi giudichino. Ma chi sarei io, non essendo invidiato? Guai a me, se di me non si contrastasse in ogni luogo c tuttodi! Ma rechisi pur chi non vorrebbe a confessare ch’io sono uno uomo che non ho a dare a veruno, che mangio il pane de la vertú, che non conosco l’ambizione, che dispregio la pecunia, che non ispio ciò che si fa, che non rapporto ciò che si dice, che non interpetro ciò che si pensa, clic procedo a la libera, che ho la volontá buona, clic non mi mascaro d’ipocresia, che comparto il mio con ciascuno, che ho tributo dai tributati, che mi sento allegare in sui pergoli, che mi veggo inchinar dai popoli, che non feci mai tristizie, che osservo il mio «si», che amo i pari vostri, che mi fo beffe dei pedagoghi, che spero in Dio e credo a Cristo.

Di Vinezia, il 19 di maggio 1542.

DCCVI

A MESSER PIETRO BARGEO

Gode che il Bargeo segua a Costantinopoli Antonio Poiino. Il dispiacere, che mi penetrò ne l’anima ne lo intendere il vostro di qui partirvi apunto quando io mi pensava che ci vi doveste fermare, si è converso in lettizia, si mi è stato caro