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annoverare i giorni debiti, ma, in quel pur troppo che ci vivono, levargli una gemma d’un dito, nonché i guidereschi di tutta la persona. La podagra e il mal francioso, che gli riducono nei gesti di Lacoonte, hanno piacere che essi non mangino, non dormino e non chiavino, che prò gli faccia ! Intanto voi medici cicalate per quare e per quia gli abbracciamenti di Venere post prandium faccino cadere in paralesia.

Di Venezia, il 4 d’agosto 1538.

CCCXCVI

AL VICERÉ DI NAPOLI Invia le lettere ccclxxvii e ccclxxviii. Si gioisca, ora che la pace è tornata nella cristianitá. L’amore e la servitú, tengono, signore, una istessa maniera: perciò hanno a mantenersi con una medesima arte. A quello sta bene il corruccio breve, perché in tal cosa l’affezzione diventa maggiore; e a questa si conviene a le volte farsi desiderare, acciò la sua ubbidienza non generi sazietá. Benché né amando né servendo si dee usare il soverchio, perché l’oblivione torrebbe a l’uno l’amica e a l’altra il padrone. Onde io, dopo l’aver ripreso me stesso circa il mio non vi scrivere un tempo fa, per non perdermi si degno benefattore, mando a la Eccellenza Vostra due lettere, il tenore de le quali loda il fatto con che la pace ha tranquillati i cori di cristianitá, con Spavento del popolo infedele. Ed è molti secoli che non si udí miracolo di piú stupore. Ecco, per lo Iddio favore, in un punto da la generositá di Carlo e di Francesco cadere lo sdegno, l’odio, l’invidia, il furore, la nequizia, la crudeltá e la vendetta, e, ne l’atto de lo abbracciarsi insieme, rinovarsigli lo immenso degli animi, traboccandogli fuora dei sacri petti la benivolenza, l’umiltá, la gentilezza, la bontade, la lealtá, la religione e la concordia; e, mossi da tenerezza non mai provata, le loro anime