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A LO INCLITO FERDINANDO

Gli raccomanda una richiesta di estrarre dagli Stati ereditari d’Austria cinquecento staia di grano. Io vengo a chieder in dono a la Maestá Vostra una grazia, l’effetto de la quale piú tosto si può chiamare ombra di limosina che larghezza di benefizio. Certo la cosa è di si fatta natura, che il concedermela non vi cresce lode e il negarmela ve le scema; percioché gli alimenti, che non disconciono con le lor sustanzie colui che ne soccorre le fami altrui, sono superfluitá di abondanza, conservate da Dio in rimedio de le penurie de la carestia. Offra ciò, conoscendovi il mondo nel procedere del vivere e nel possedere de lo impero per uomo giusto e per re magnanimo, séte obligato non solo di giovare cordialmente al prossimo e di aiutare splendidamente i servi, ma le caritadi umane e le generositá reali debbono apparire tanto piú caritevoli e generose in voi, quanto piú la bontá e la cortesia, de la qual risplendete, s’avanza sopra l’essere d’ogni altra creatura e sopra il grado d’ogni altra corona. Benché al vostro esser tale non dimando perminenzia, né facilitá, né pecunie ; ché il non darle dei principi ai virtuosi è vecchia usanza. Ma saria ben nuova crudeltá il non permettere che i miseri, in qualunche anno si sia, potessino comprarsi il pane, né che altri in ciascun tempo avesse libertá di vendergliene. E, avenga che ad altri si permetta il vendergliene pertutto e che a essi sia lecito il poter comprarne in ogni luogo, cotal permissione è dovere di pietá e non presente di liberalitá. È ben vero che il concedermi che i propri denari, in prò de lo istesso bisogno e in soccorso de la necessitá di molti, cavino da le terre, che vi ubbidiscono, cinquecento staia de tormento, la cui somma non ismagra cotesta parte e non ingrassa questa, sará un segno di benigna umanitá; onde la gratitudine de la