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la strettezza me ne dia cagione. E, se pare che il male, che io dico, sia maggiore che il bene, incolpisene le discortesie dei signori, le quali avanzano le gentilezze dei gran maestri. La corona dei re dee risplendere non pure nei rubini de la religione, nei diamanti de la fede e negli smeraldi de la clemenza, ma ne le perle de la magnanimitá ancora. O Francesco, i doni, che escono de le mani larghe, ingravidano gli animi de le genti, talché partoriscono affezzioni e lealtá; percioché sono come la pioggia che sparge il cielo, la quale dá vita a la terra e aiuto a le cose. Adunque non ne diventate sterile; e, quando sia che il risparagno vi paia lecito, bontá dei grandissimi dispendi, astenetevi dal promettere almeno ai virtuosi, acciò, consumati dietro a la speranza, non abbino con che mordervi la fama. È lode de la degnitá di chi regna il far si che il suo nome abiti nel cor degli scrittori. Non sapete voi, Sire, che non si conviene al grado de la Vostra Altezza il non ramentarvi dei seicento scudi, che, con il motoproprio de la reale lingua, diceste al messo mio che qui mi si pagarebbeno da lo imbasciatore, che ritorna in Francia? La piú aspra crudeltá e la piú iniqua viltade, che potiamo imaginarci, son le promesse non osservate dai servi : ora istimisi di che sorte sieno quelle che non pagano gli imperadori. E perciò la gloria vostra riguardi la ingiuria che fa a se medesima, mentre indugia la mercede offerta da se stessa a me, che la predico.

Di Vinezia, il 7 di ottobre 1538.

CDXX

AL DUCA D’URBINO Ringrazia del dono di cinquanta scudi. Un famigliare de lo imbasciadore di Vostra Eccellenza mi ha presentati i cinquanta scudi ; la cui somma si radoppia a cento per uno, poiché la cortesia si move da la volontá di