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oltra ogni suo giovamento, il detto anello vi può esser caro, perché vel dona il mio core per segno di tributo offertovi da la sua devozione. Non dico altro, se non che a la brevitá di questa lettera supplirá la lunghezza di quelle che vi scriverò quando sarete con la Maestá di Cesare a Napoli.

Di Venezia, il 12 di settembre 1535. L 1 V AL MAGNO ANTONIO DA LEVA Lo ringrazia del dono di una coppa. Io mi stava, signor mio, facendo toccar con mano a ciascuno che, se la necessitá non avesse sforzata Vostra Eccellenza a rimanersi per sicurtá di quei luoghi che piú importano a Cesare che l’Affrica, la gloria che ne la vittoria di Tunisi si è compartita nei duchi, nei marchesi, nei principi, nei conti, nei capitani e nei cavalieri, saria stata tutta vostra. Ed, esclamando io: — O Carlo augusto, se Iddio non fussc scorta de la tua fortuna, movendo tu il passo senza il grande Antonio, potresti ben dire: «Chi vien meco?», — ecco a me con la seconda coppa il Cavaniglia, suo creato e nipote di quel don Lope Soria, a la cui benignitá piú debbo che io non posso sodisfare; onde io al folgorar del suo oro rimasi stupito, considerando come da voi non escono se non cose auree. E non è maraviglia, perché il vostro animo aureo, il vostro senno aureo e il vostro aureo valore hanno indorato tutto quel che fate, e perciò sono aurei i vostri onori e i vostri gesti, e ponno le vostre auree qualitá indorare il nostro secolo, e di ciò che gli avanza arricchire tutte le future etá. Ma io, che senza niun merito son fatto degno da la sua bontá di ricevere cotanti doni, non posso a voi, o solo che avete pietá de la miseria de le vertú mie, render grazie convenienti a si alta cortesia. Ma, essendo poverissimo d’intelletto, non so far altro che pregar Cristo che vi conservi la vita, alimentata da le sue grazie e da la gloria de le vittorie.

Di Venezia, il 19 di ottobre 1535.