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AL CONTE GIROLAMO DEI PEPOLI

Vorrebbe vederlo militare in servigio della Serenissima. Per essere io, signore, non men veniziano che aretino, mosso da l’amore che chi piú sa amare piú dee portare a la patria, vorrei vedervi militare in servigio di questo serenissimo Stato, il quale è degno degli Scipioni e dei Cesari. E ben debbe ciascuno, ch’adora cosi fatta republica e che conosce voi, desiderar ciò, perché a lei, grandissima, non si convien se non grandi uomini. Veramente, le condizioni di che séte adorno sono uniche, né si ragunano cosi tosto in una persona. Eccovi l’antichitá del sangue, eccovi l’abondanza de le ricchezze ed eccovi il favor dei popoli e la grazia dei cieli, senza la quale ogni nostro operare è disgraziato. Il senno, con cui avete esprimentato l’animo del core, è dote si propria vostra, che par che pochi altri ci abbiano parte. Certissimamente, nei savi capitani è da sperare ogni corona, peroché la prudenzia sa vincere le forze de la fortuna e degli uomini, e le cose civili e domestiche son governate da la sua vertú. Ma che dirò io de la liberalitá, chiave che apre gli usci de l’altrui anima? Non si vanti Bologna d’aver cavaliere piú avaro di promesse e piú largo di effetti di Vostra Signoria, la gentilezza de la quale, come fusse parente di tutta Italia, riceve con le splendide generositá qualunche forestieri si voglia. Onde non è maraviglia, se io, che riverisco solamente chi è tale, brami si onorato signore ai servigi dei miei signori. Intanto eccomi ubbidiente ai cenni di Quella.

Di Venezia, il 23 di novembre 1537.