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posto. Io la scongiurarci ancora per la sua benignitá a far riverenza a Covos; ma, per esserne indegno, taccio.

Di Venezia, il 16 di ottobre 1536. LXXVI11 A LA SIGNORA VERONICA GAMBARA È lieto che ella e il Bembo si servano di lui per trasmettersi le lettere. Ne acclude una del Dolce. Io non so a chi piú debbo, o a la signora Veronica, o a monsignor Bembo, per il favore che m’ha fatto la bontá loro, con le lettere che a l’uno e a l’altra è piaciuto indrizzarmi, accioché per mezzo mio pervenghino in mano di questa e di quello. Certo io ne rendo parimente grazie e a la Vostra Signoria e a la Sua, e ciò faccio per esser voi piú che donna tanto, quanto egli è piú che uomo. E con tale preminenza si pareggia la poca o la molta disaguaglianza de lo stile, che in lui e in voi mostra l’onore e la fama de la poesia piú e meno. Ma, perché da voi due la mia sollecita servitú è stata eletta per corriera, eccovi una, che i suoi preghi mi comandano che io vi mandi, messer Lodovico Dolce, a cui forse, per merito de le sue nuove vertú, non si disdirebbe d’entrar terzo fra voi. Non parlo, benché mi abbia dato la carta che vedrete, perché, avendo egli si fatta coppia in quella istessa reverenzia che l’ha tutto il mondo, per esser tanto gentile negli effetti quanto dolce nel nome, non gli piaceria che io da me stesso mi desse licenzia di mescolare il suo nome coi vostri: so bene essergli caro che, volendolo io pur onorare, l’onori separatamente. Onde io cosi faccio, non mancando di mandarvi le scritte dal vecchio padre e dal giovane figliuolo de le muse, tenendo non poca gloria quella de la mia, per avervi a capitare in mano come invoglio de le loro.

Di Venezia, il 2 di novembre 1536.