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che i canoni antichi (come si trovano compendiati anche nei capitoli di S. Martino Bracarense di venti anni prima1 non siano eseguiti col necessario rigore; e ne ordina la osservanza puntuale. Insomma il concilio toletano non fa, nè più nè meno, che quello che avevano fatto prima altri concilii, come il barcellonese del 5402, il cui canone VIII è somigliantissimo all’undecimo capitolo del toletano, e soprattutto quello più celebre di Elvira del 3133.

E giacchè il signor E. P. ha voluto far menzione del concilio toletano, voglio anche fargli osservare, che quel concilio offre un nuovo argomento della falsità del suo asserto prediletto, della solita ragione della istituzione della confessione pubblica, cioè della ragione delle sette, come dice in principio. Questa ragione delle sette il concilio toletano, e così tutti gli altri, non se la sogna neanche; esso non si preoccupa d’altro che della moralità e del miglioramento dei fedeli. Di fatti il capitolo sopradetto si chiude così: «Chi durante il tempo della penitenza avrà dato prova di emendarsi sia riammesso alla comunione. Quelli poi che ricadono nei vizi di prima, sia durante il tempo della penitenza, sia in seguito, siano condannati secondo le severità dei canoni antichi4

«Carlo Magno oltre d’essere un gran politico voleva essere un gran teologo, fece radunare dei concilii che spinti dal loro padrone ordinarono la confessione auricolare ma volontaria e senza assoluzioni. (Concilio di Chalons, anno 813, e quello di Tours. Bibliot., Patr., tom. X)

Non parlo di Carlo Magno, nè della pressione che il nostro articolista asserisce, che ha esercitato sopra i con-


  1. Vedi Labbeo, Atti dei concilii, Parigi 1614-15, t. III, col. 391 e seg.
  2. Vedi Labbeo II, c. 1434.
  3. Vedi Labbeo I, c. 247 e seg.
  4. Vedi Labbeo III, col. 381.