Pagina:Archivio storico italiano, serie 5, volume 7 (1891).djvu/221


rassegna bibliografica 201

sempre in gran parte leggendaria, degli uomini che ebbero mano nei rivolgimenti di Napoli in sul finire del secolo XVIII.

L’abate Antonio Jerocades di Pargalia, nato nel 1738 e morto nel 1805, ebbe un tempo fama grandissima e scrisse numerose opere in prosa ed in verso. Uomo d’ingegno mobile e fantastico, facile improvvisatore, appassionato fautore delle idee umanitarie del settecento, rappresenta assai bene l’ottimismo e l’irrequietezza dell’età sua. Tanto dal seminario di Tropea quanto da quello di Sora, dove era insegnante, fu espulso per accuse d’immoralità e d’irreligione. Nel 1771, recatosi a Marsilia, vi s’iniziò nei riti della massoneria, che propagò quindi a Napoli e in Calabria, tra il ’73 e il ’92, e che celebrò sotto tenue velo nel poema allegorico intitolato: Paolo o della umanità liberata (1783) e nelle canzoni della Lira focese, pubblicate dopo un secondo viaggio che fece nel 1784 alla metropoli della Provenza, colonia degli antichi Focèi. Queste ed altre operette gli suscitarono avversari ed aspre polemiche; ma ebbe pure insigni amici e patroni, primo dei quali, quand’era ancor giovane, l’ottimo abate Genovesi, e poi il Filangeri, il Pagano, l’ab. Saverio Mattei. Ottenne favore anche presso la Corte, la quale com’è noto, prima della rivoluzione francese, si atteggiava a riformatrice: il Paolo era dedicato al Re, di cui diceva nella Lira:

Questa fiamma e questa luce
Più nascosta a lui non è.


Carolina poi v’era rappresentata come protettrice della massoneria:

Venne al Tempio l’augusta Regina
E ci disse: miei figli cantate:
Ma la legge, ma il rito serbate,
Ma si accresca del soglio l’onor.
Io vi salvo dall’alta ruina.
. . . . . . .
Io vi rendo la pace del cor.


Pel ritorno dei Sovrani da Vienna nel ’91 compose una cantata, e in quell’anno stesso fu nominato professore onorario di filologia nell’Università, e poi nel ’93 sostituto alla cattedra d’economia e commercio. Ma intanto erano mutati i tempi e gli umori. Involto nei processi del "94, fu carcerato dalla seconda giunta di Stato, e tra il ’97 e il ’93 gli fu strappata una confessione che riusci funesta ad altri imputati. Negli ultimi giorni della Repubblica del ’99, il General Matera che marciava contro le bande del Ruffo, trovò il vecchio massone in un ritiro a Cardinale, e trattolo di là lo indusse ad infiammare con discorsi e con canti l’amor patrio delle sue genti. Dopo la sconfitta fu di nuovo rinchiuso in prigione, dove fece amicizia con Guglielmo Pepe, che ci ha lasciato di lui