Pagina:Arabella.djvu/266


— 260 —

Tutti si voltarono verso il prete, che rosso e caldo in viso quanto si poteva vedere al disotto del suo colorito di vecchia pipa, agitando le mani legnose e parlando coi soliti gusci in bocca, raccontò a chi ne aveva bisogno come veramente la signora Carolina avesse scritta, firmata e poi trattenuta la carta; come, prima di morire, avesse fatto segno di aver firmato, ma in quel momento entrò il sor Tognino, reduce da Lodi, dov’era stato chiamato tra i giurati, s’impadronì delle chiavi, e addio. Firmata o non firmata, una carta ci doveva essere, laddove invece...

— Laddove invece, — seguitò l’Angiolina, picchiando un pugno sulle carte dell’avvocato e voltandosi verso l’adunanza a predicare, — laddove invece s’è trovata una bella….

L’avvocato la fece sedere per forza e, agitando il campanello sul naso dell’ortolana, gridò:

— Avete inteso? facciamo silenzio? adesso, se state zitti, farò dar lettura del testamento del 78, o meglio, per accorciare la seduta, essendo il documento abbastanza particolareggiato e prolisso, lo metterò a disposizione di quelli di voi che vorranno consultarlo, tutti i giorni dalle undici al tocco. Di tutti i parenti fino al terzo grado è unita una lista che io sto compilando colla più scrupolosa diligenza, e ciascuno di voi è interessato a portare alla causa comune quegli schiarimenti che valgano a far trionfare la giustizia.

Il rumore, l’acciottolìo, le ciarle non cessarono se non quando la gente incominciò a infilar la porta. Tutti sapevano ormai chi fosse Tognino Maccagno e di quanto fossero suoi creditori. Tutti imprecavano contro di lui, ladro, usurpatore, ciascuno in misura del danno che credeva d’aver sofferto. Sulla scala