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— Ebbene, sissignore, anche quel povero giovine mi preme...

E uscì, chiudendo dietro di sè i battenti.



Il vecchio le corse dietro un tratto, gridando:

— No, no, figliuola, mi ascolti... — e rimase lì, atterrito, davanti all’uscio che Arabella gli chiuse sul viso.

Atterrito, è la parola vera. Il suo demonio, per chiamare con un vecchio nome una passionaccia oscura e ingannatrice, l’aveva trascinato a dire una brutta parola all’unica creatura ch’egli stimava e amava sulla terra.

Perchè l’aveva dunque pronunciata? aveva bisogno di prove per credere che Arabella era un angelo di onestà, di sacrificio, di virtù, un essere capace di sopportare le battaglie della vita, di vincere per sè e per gli altri? tutto ciò sapeva benissimo anche prima, lui, che da sei mesi viveva, si può dire, giorno per giorno, ora per ora, della vita e dei respiri di quella figliuola. Era lui che da sei mesi lottava da leone contro le maligne influenze dell’ambiente per mantenere intorno ad Arabella quasi un’oasi di purezza, per fare che una stilla di fango non cadesse a contaminare un lembo del suo vestito. Ed ora il suo demonio l’aveva condotto a gettarle una manata di quel fango in viso...

— Scusi, Arabella; senti, figliuola...

E istintivamente pose la mano alla serratura e cercò di sforzare i battenti.

Ma poichè Arabella non rispondeva, gli mancò la