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libro iv. 275

     Motti le punser di rimbecco; e quindi
     Una di scherzi s’avvivò tra loro
     Piacevol gara, una contesa arguta.
     2275Su quell’isola poi da quel bizzarro
     Giuoco usanza venìa, ch’uomini e donne
     Si motteggino a prova allor che fanno
     D’Anafe al tutelare Eglete Apollo
     Di sagrificii espiatorio onore.
2280Quando di là sotto tranquillo cielo
     Scioglieano i Minii, Eufemo allora un suo
     Notturno sogno (venerando il figlio
     Di Maja) ricordò. Parvegli al petto
     Stretta tener quella divina gleba,
     2285E di candide stille del suo latte
     Tutta irrigarla, e della gleba poi,
     Ben che picciola fosse, una formarsi
     Donna a vergine pari. Ei di furente
     Amor preso per lei con lei mischiossi;
     2290Ma poi glie n’ dolse, e qual fanciulla pianse
     Che congiunto con donna egli si fosse,
     Cui del suo latte avea nudrita. Ed ella
     Con dolci detti a confortar lo prese:
     Prole io son di Triton; de’ figli tuoi
     2295Nudrice io sono, e non tua figlia, o caro.
     A me padre Triton, Libia fu madre;
     Ma tu dammi compagna alle marine
     Di Nereo figlie ad abitar nel mare
     Presso ad Ànafe. Io poi fuori dell’acque
     2300Alla luce del Sol, quando fia tempo,