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libro iv. 237

     Le partorì Tersicore leggiadra,
     L’una d’in fra le Muse, ad Achelóo
     D’amor congiunta; ed esse un dì cantando
     In bel conserto a dilettar la figlia
     1185Di Cerere prendean, vergine ancora;
     E fu d’allor che parte augelli e parte
     Apparvero donzelle, e sempre poi
     Di lor facile spiaggia alle vedette
     Vegliano attente, e a molti e molti il dolce
     1190Ritorno ai lidi lor tolser, di tabe
     Consumandoli quivi. Ed or nel passo
     Degli Argonauti la voce soave
     Dirizzarono ad essi, ed essi attratti
     N’eran già dalla nave in quelle arene
     1195I canapi a gittar, se il Tracio Orfeo,
     D’Eágro il figlio, la Bistonia cetra
     Tosto in man tolta, in concitato modo
     Non facea risuonar forte di corde
     E di voce un concento, a fin che ad essi
     1200S’intronino gli orecchi; e oppresso il suono
     Quindi restò delle femminee voci.
     Zefiro intanto e l’echeggiante insieme
     Onda da poppa in là spingean la nave,
     E un indistinto modular di note
     1205Mettean quelle nell’aure. Uno pur v’ebbe
     Degli eroi, Bute, il valoroso figlio
     Di Teleonte, che rapito al dolce
     Cantar delle Sirene, in mar d’un salto
     Slanciossi e a nuoto infra i commossi flutti