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libro iv. 213

     Tu qual brami farai: deh no ’l permetta
     La gran regina del Tonante sposa,
     Del cui favor tu superbisci! Ed anco,
     500Anco di me ti risovvenga, afflitto
     Di sventure e travagli; e l’aureo Vello
     Via da te come sogno si dilegui
     Nell’ombra buja. Dalla patria tua
     Te le mie furie cacceran tra breve,
     505Poi che giusto non è che quanto io soffro
     Per la tua sceleranza a vuoto cada
     Invendicato. Un forte giuramento
     Spietatamente hai spergiurato. A scherno
     Me non più prenderete, e non a lungo
     510Godrete, no, de’ vostri accordi in pace.
Così bollente di profondo sdegno
     Favellava, e la nave ardere, e tutto
     Por bramava a soqquadro, e nelle fiamme
     Gittar sè stessa. A lei Giason, temendo,
     515L’ira con blando ragionar molcea:
Pace, egregia donzella! E a me pur anche
     Quest’accordo non piace, ma cercando
     Solo andiam qualche indugio alla battaglia,
     Un tanto nembo d’inimiche genti
     520Ne sta intorno per te; chè quanti han sede
     In questa terra, ardon di voglia tutti
     Di dar mano ad Absirto, a fin ch’ei possa
     Te qual captiva ricondurre al padre.
     Certo, se noi veniam con tanti a pugna,
     525Tutti morremo orribilmente, e acerbo