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apollonio rodio. xiii

care le fibre più sensibili del cuore, e sa muovere efficacemente gli affetti, come ne sono prova i bei versi, coi quali Giasone si congeda dalla madre, o quelli, coi quali gli Argonauti si allontanano dalle donne di Lenno. Gli Argonauti furono molto letti e studiati dagli antichi, e principalmente presso i Romani godettero fama e favore, tanto che Varrone Atacino li tradusse nella lingua del Lazio, e Valerio Flacco (circa 80 anni avanti Gesù Cristo) li imitò largamente nel suo poema d’egual titolo, dopo che Virgilio stesso non aveva sdegnato trarne qualche partito pel quarto Libro della sua Eneide, che è fra tutti il più affettuoso. Presso i Greci l’interesse destato dal poema di Apollonio piuttosto provenne dalla qualità della materia trattata, che dalla forma o dall’arte. Gli scolii che di lui ci rimangono, considerano più il mitografo che il poeta; e apprezzano in lui la copia e l’esattezza delle notizie mitologiche che egli aveva con accurata erudizione raccolte dai poeti e mitografi antecedenti, piuttosto che l’arte dell’esposizione, o la dipintura de’ caratteri. Questa importanza del soggetto derivava per gli antichi da semplice curiosità, e da quella credula avidità di conoscere fatti ed aneddoti che contraddistingue codesti tempi; perchè nessuno pensava allora che il mito adombrasse in sè stesso i lenti e successivi progressi delle scoperte, dei viaggi e della colonizzazione delle spiagge dell’Eusino fatta dai Mini e da altre greche genti della penisola.

Risorti gli studii classici nell’età moderna, anche Apollonio fu letto e commentato come tutti gli altri